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Disgrafamasegni

Sulle vette dell’abside

Famiglia Cristiana

28 gennaio 1998

La parrocchia Gesù Lavoratore ha escogitato una singolare iniziativa per attrarre i ragazzi del quartiere, a rischio di emarginazione: le pareti della chiesa sono diventate una palestra di roccia. Le vie dell’ascesi, e quelle dell’ascensione. L’imbragatura è a posto, i moschettoni sono chiusi, il compagno per la sicura è pronto. Inizia la scalata lungo la parete. No, non siamo in montagna, né in una palestra di roccia: la parete è di mattoni rossi, quelli di una chiesa di Marghera, e gli istruttori sono i volontari della parrocchia di Gesù Lavoratore. Neanche don Bosco, che di trovate per avvicinare i giovani alla fede è stato un maestro, ci aveva mai pensato: portare i ragazzi in chiesa… dal tetto, dopo averli fatti arrampicare lungo l’abside e le pareti delle navate. È proprio così: i due sacerdoti salesiani che guidano questa comunità della terraferma veneziana, in uno dei quartieri più emarginati di Marghera, hanno pensato di aggiungere a calcio, basket, ping-pong, pallavolo e le altre classiche attività di patronato, anche quella del free-climbing. Certo inusuale per una pastorale tradizionale, ma “le vie del Signore” si sa, “sono infinite”: comprendono quindi anche quelle di “quarto e quinto grado”. Visto poi che l’edificio sacro si prestava bene per l’arrampicata, data la mole imponente e la buona altezza, e che il mattone era adatto a sostenere le “prese” artificiali, si è deciso di provare. E la prova è andata bene. «L’idea, a dire il vero, ce l’ha data l’anno scorso un salesiano di San Donà di Piave», spiega il viceparroco, don Gianbattista Pettenuzzo. «Noi l’abbiamo concretizzata all’ultima festa del primo maggio. Invitati in parrocchia alcuni scalatori provetti, grazie all’amicizia che questi hanno con Maurizio Tasso, un nostro parrocchiano appassionato rocciatore, abbiamo organizzato una dimostrazione fuori della chiesa». Il successo è stato clamoroso: 400 spettatori entusiasti. L’interesse destato nella gente di Ca’ Emiliani (il quartiere di Gesù Lavoratore) per le evoluzioni dei climber è stato tale che alle otto di sera erano ancora tutti col naso in su a seguire le acrobazie dei rocciatori. «Allora ci siamo detti: perché non trasformare l’intrattenimento in un’attività permanente per i ragazzi? E così l’abbiamo proposto ai genitori. Le poche perplessità di qualche mamma e papà riguardanti il pericolo di incidenti sono state presto vinte con l’esperienza diretta», spiega ancora don Gianbattista. Così le “prese”, cioè gli speciali appigli artificiali di resina, sono rimaste fissate alle pareti, anzi ne sono state aggiunte di nuove e dalla scorsa estate è iniziato un vero e proprio corso di climbing. Tutte le settimane, il martedì e il giovedì pomeriggio, l’abside della chiesa si trasforma in una parete di dolomia e si tinge dei colori sgargianti tipici delle tute per climber. Una decina di ragazzi è sempre puntuale all’appuntamento. Per due volte alla settimana s’arrampicano lassù, a venti metri da terra, più alti dei vicinissimi capannoni dismessi delle vecchie fabbriche che hanno creato Marghera e portato agli inizi degli anni ’50 tanto lavoro e che oggi sono in gran parte chiuse. I maestri sono parrocchiani e alcuni loro amici scalatori, tra cui Maurizio Dall’Omo, noto arrampicatore cadorino. Sono stati coinvolti pure animatori della parrocchia. Tra questi ci sono Nicola Zuin, 18 anni, e Francesco Volpato, 17 anni: «Fin dall’inizio ci siamo appassionati a questa suggestiva disciplina. Ci alleniamo regolarmente nella palestra di roccia di Spinea (paese alle porte di Mestre, ndr), e seguiamo gli allievi più giovani». Tutti nella comunità di Gesù Lavoratore si sono dati da fare per far partire la singolare attività ricreativa, da chi ha fornito corde e imbragature a chi ha portato l’elevatore per costruire le tre vie di diversa difficoltà. «Il free-climbing è una disciplina severa, che educa all’autocontrollo, insegna a misurare sé stessi di fronte all’ostacolo, e allo stesso tempo è una splendida occasione per scaricare le tensioni di una settimana di lavoro o di scuola», spiega Maurizio Tasso. E la soddisfazione di vedere che poco alla volta si può salire dove fino a ieri sembrava impossibile la si può leggere tutta nel volto dei ragazzini che seguono il corso. Il parroco don Giuseppe Bordignon non lo dice, ma ancora una volta in un quartiere per troppi anni definito il Bronx di Marghera, la sua chiesa si conferma come uno dei pochissimi luoghi positivi di aggregazione, un antidoto al degrado sociale di un quartiere che era sorto come il rione delle giovani famiglie operaie venute da ogni parte d’Italia. Con l’inarrestabile crisi che ha messo in ginocchio l’industria delle Partecipazioni statali, Ca’ Emiliani è rimasta dimora di tanti pensionati, qualche profugo giuliano e pochissimi operai. Le case più vecchie e malandate vengono abbattute dalle ruspe per fare largo alla nuova area commerciale. «Ma quella non dà lavoro», dice don Giuseppe. «Così il quartiere, soffocato dai magazzini e dalla disoccupazione, lentamente muore: dei seimila residenti degli anni ’60 ne rimangono duemila. Il cinquanta per cento dei parrocchiani è già pensionato e i giovani preferiscono andare altrove, dove c’è occupazione». Proprio qui è nato il sociologo Gianfranco Bettin e anche lui da ragazzino ha giocato in questo patronato. A Gesù Lavoratore, da qualche tempo, oltre che le vie dell’ascesi si insegnano anche quelle dell’ascensione.

di Alberto Laggia